note di lettura di Sebastiano Aglieco a margine di “Cerchi”

Pubblicato: marzo 14, 2014 in poesia
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Sempre più mi viene da pensare al gesto di scrivere sui libri come a un atto di presenza: sono qui e ho letto. Basta. Sottolineo parole, anche sporche, per la mia vita. Di che cosa ha bisogno la mia vita? Di sentire che in altri c’è una briciola di me che mi contiene, che mi ospita. Libri, lettori, scrittori: tutti abitano un cerchio che si chiude e non si chiude, che accoglie o che respinge.
Quindi, ora. ORA. Tempo. Tempo che si lacera e ci lacera; tempo in cui si arrampicano le parole, splendenti e misere.

Di questo libro sottolineo dei versi:

Natale
in profonda comunione
con le piccole cose di ogni giorno,
parole povere…
p. 49

… fino a quando il respiro si sfinisce,
piega le ginocchia …
p. 54

è tardi per il salto
la porta mi si chiude in faccia …
p. 59

Questi versi mi servono.
Canticchiamo canzoni per la strada nella testa. Ci portano, ci riportano da qualche parte. Perché non ricordare i versi allora? Perché non sentirne la necessità?
Questi “cerchi” sono già in assonanza con altri “cerchi”

Il morbido incedere di passi forti e flessuosi,
s’avvolge in cerchi sempre più piccoli,
con una danza di una forza attorno a un centro
in cui si erge, stordita, una gran volontà.
(Rilke, La pantera)

Quindi le parole camminano intorno a qualcosa, descrivono paesaggi, i confini entro cui avveniamo, pensiamo e a volte meditiamo. C’è una differenza fra questi tre verbi e forse “avvenire” non è neanche un verbo.

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